Comunicare la sicurezza in azienda
Passando ad un’analisi più circoscritta all’ambito della comunicazione, è opportuno menzionare talune best practices proposte all’interno del materiale formativo elaborato dal prof. Federico Ricci, docente di Psicologia della comunicazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, nel corso del seminario Comunicare la sicurezza in azienda: relazione e gestione dei rapporti fra RSPP – RLS – DdL, tenutosi nel 2011. È anzitutto necessario riconoscere come il silenzio e l’allarmismo, come due facce della stessa medaglia, vadano entrambe intese come potenziali minacce nei confronti di una sana comunicazione della sicurezza. Benché si stia parlando di rischi reali, si tratta di problemi che possono comunque esser controllati mediante una corretta informazione e l’adozione di appropriate procedure. Egli elenca qui differenti tipologie di comunicazione, riconoscendo come non tutte siano in grado di stabilire rapporti proattivi tra gli interlocutori. L’assertività, in particolare, è una delle doti principali di cui deve godere un buon comunicatore: essa può garantirgli autorevolezza e, al contempo, partecipazione da parte dell’uditorio, a differenza di una comunicazione fugace, aggressiva o manipolativa. Esprimersi apertamente, rendendo chi ascolta parte attiva del dialogo tramite eventuali proposte o suggerimenti, è una delle basi della comunicazione assertiva. È importante quindi far uso della propria leadership. Si veda, a tal proposito, Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, P. Agnello, F. Bracco, C. Brunel, M. Masini, T. F. Piccinno, A. Sedaoui, D. Tazi, Quaderni di ricerca INAIL, Settembre 2017. Col termine resilienza, in riferimento ad un’azienda, si intende la capacità di reagire agli eventi, di monitorare ciò che accade, di saper prevedere rischi e opportunità e, infine, di imparare dall’esperienza passata, e ciò può e deve essere applicato tanto in ambito comunicativo, quanto, più nello specifico, nell’attuazione di norme e pratiche a garanzia della SSL. Resiliente viene quindi reputata ogni organizzazione in grado di addestrare i propri dipendenti a prevenire i rischi ed anticipare gli incidenti. Per stimolarla, la resilienza ha bisogno di una comunicazione libera, evitando la ricerca di un colpevole a tutti i costi, ma anzi promuovendo un circolo virtuoso di segnalazione e risoluzione delle potenziali minacce alla sicurezza, portando ad una progressiva interiorizzazione del procedimento. I confronti generano infatti informazioni, che possono rivelarsi utili per la risoluzione di problematiche complesse. Quindi, migliorare la comunicazione significa migliorare la qualità del lavoro, la soddisfazione lavorativa e l’umore dei dipendenti.
Restando in tema di leadership e tornando al materiale proposto da F. Ricci, una guida non va ricercata esclusivamente nel vertice aziendale (che certo ne ha le competenze ed il ruolo istituzionale), ma anche e soprattutto nei rappresentanti, o negli stessi lavoratori, che siano in grado di comunicare con metodi proattivi: uno stile comunicativo non autoritario, bensì autorevole, che venga ascoltato per condivisione di idee, piuttosto che per imposizione, è pervaso da una leadership certamente più legittima.
Fondamentale è poi la presenza, e relativa accettazione, di una critica positiva: questa si traduce col rispondere ad un comportamento o un’idea, senza però mettere necessariamente in discussione la persona da cui è nata l’idea criticata, onde evitare lesioni irreparabili dei rapporti interpersonali, vero sale della comunicazione. Ascoltare rappresenta poi l’altra faccia della medaglia della comunicazione. Un ascolto attivo, in particolare, necessita di un atteggiamento positivo, in cui chi ascolta si pone allo stesso livello di chi parla, accettando l’interlocutore e ritenendo valida la sua comunicazione, senza necessariamente condividerne le idee.